Metabolic Damage

metabolic damage_2E con questa simpatica immagine di questa ragazza che guarda stupita il risultato letto sulla bilancia iniziamo ad entrare nel vivo del Metabolic Damage. Nel precedente articolo (Macronutrienti: le principali funzioni) abbiamo affrontato i macronutrienti da un punto di vista più approfondito rispetto la classica concezione che abbiamo di essi, oggi le informazioni acquisite vi saranno utili per poter comprendere a fondo il modo in cui determinati squilibri di macronutrienti, o magari, lunghi periodi di un regime alimentare restrittivo potrebbero condurvi all’interno di un’insidiosa spirale che da un lato vi farà perdere peso, ma non necessariamente grasso. Vorrei iniziare subito chiarendo questo argomento, è importante capire che perdere peso non sempre corrisponde al perdere grasso, un concetto che fortunatamente è ben chiaro a molti degli appassionati di bodybuilding, infatti attraverso la pratica di un’attività fisica come il body building associata ad una dieta equilibrata avremo nel lungo termine un effetto di ricomposizione corporea; magari il peso sarà aumentato, ma il quantitativo percentuale di grasso sarà, con tutta probabilità, diminuito. Detto questo, passiamo finalmente ad affrontare il topic di questa piccola trattazione, il così detto danno metabolico, per una questione di ordine ho deciso di suddividere l’articolo in piccoli paragrafetti.

DEFICIT DI CARBOIDRATI

Ho deciso di iniziare da loro non solo perchè sono i primi che ho trattato nel precedente articolo ma anche perchè sono il macronutriente universalmente riconosciuto come “energia” definizione in realtà molto pressapochista questa, ma in grado di trasmettere una forte immagine di quello che è il ruolo di queste molecole, sono quelle che per prime intervengono (quando presenti) come “combustibile” energetico. Il caso vuole però che, essendo i macronutrienti più importanti dal punto di vista energetico, dovremo prima di capire cosa possa accadere in loro assenza, comprendere cosa accade in loro presenza; ciò significa che un brevissimo (e sottolineo issimo) excursus sulla respirazione cellulare è d’obbligo. Tra le tantissime strade che possono prendere questi macronutrienti una volta assorbiti a livello dei villi intestinali sicuramente la più interessante per noi riguarda il loro catabolismo, cioè il loro utilizzo metabolico per produrre ATP, pensate un po che in un individuo di circa 70 kg di peso corporeo si stima la presenza di circa 370gr di glucidi spartiti quasi totalmente sottoforma di glicogeno di riserva in fegato e muscoli (questi ultimi ne immagazzinano piu del doppio del fegato), ed una piccola quantità in glucidi circolanti ed extracellulari; questo per farvi capire quanto sia importante la loro presenza all’interno di una dieta. Per completezza di trattazione quando parliamo di catabolismo dei glucidi oltre che di respirazione cellulare dovremmo parlare anche di glicolisi anaerobica, che conduce alla formazione di acido lattico a spese del glucosio, sia circolante che di deposito. Si è visto ad esempio che durante la contrazione muscolare in aerobiosi (presenza di ossigeno) la quantità di acido lattico prodotto è inferiore rispetto quella prodotta da una contrazione in assenza di ossigeno, arrivando addirittura a far credere agli studiosi di una volta (primi del novecento) che la contrazione muscolare fosse possibile solo in presenza di acido lattico, quindi di glicogeno muscolare. Tale ipotesi fu poi smentita quando si verificò la capacità contrattile del muscolo anche in presenza di sostanze in grado di inibire la formazione dell’acido lattico, ed è così che si venne a conoscenza di un’altra molecola, la fosfocreatina, ma questa, come si suol dire, è un’altra storia. Ciò che conta è che nessuna delle due molecole è la vera protagonista della contrazione muscolare, non il glucosio, non la fosfocreatina, ciò che realmente permette la contrazione è l’ATP, inutile dire che quindi il nostro corpo non potrebbe mai permettersi di trovarsi in condizioni di deficit di ATP, ed è proprio per scongiurare questa evenienza che ogni macronutriente può essere utilizzato a scopo energetico, ma pensiamo ora alla via principale attraverso cui il nostro corpo è in grado di produrne, parliamo cioè del catabolismo aerobico dei glucidi; il primo step è la glicolisi aerobica stavolta in presenza di ossigeno, che inizia con la conversione del glucosio in glucosio-6-fosfato e si conclude con la produzione di 2 molecole di acido piruvico

ma cos’è la glicolisi?

non è altro che un insieme di reazioni, 10 in totale, che avvengono all’interno del citoplasma cellulare, il primo step, quello della fosforilazione in posizione 6 del glucosio è un passaggio indispensabile perchè possa essere utilizzato a fine energetico. E’ divisa in 2 fasi, la prima detta di investimento in cui vieneciclo_krebs riassunto atp consumata ATP (2 per la precisione), fino alla produzione di diidrossiacetonfosfato, da qui inizia la fase di rendimento che si conclude appunto con la formazione di 2 molecole di piruvato al netto delle spese avremo guadagnato 2 ATP e 2 NADH per ogni molecola di glucosio (non parleremo anche di nad e fad, sappiate solo che sono 2 coenzimi da conteggiare in quanto in grado di produrre atp), la cosa non è però finita qua, infatti il nostro fantastico organismo ha attuato altri sistemi per implementare la produzione di atp, infatti quelle 2 belle molecole di piruvato prodotte con la glicolisi possono essere completamente ossidate a CO2 (anidride carbonica) ed acqua attraverso il ciclo di Krebs (avente luogo non più nel citoplasma come la glicolisi ma nel mitocondrio), possiamo considerare questo ciclo come una via comune del metabolismo glucidico, lipidico e protidico, infatti l’ossidazione del piruvato occupa un ruolo determinante all’interno del catabolismo di ogni macronutriente. Prima di essere chiamato ciclo di Krebs, il suo scopritore (indovinate un po come si chiamava, si esatto… Krebs) lo chiamò ciclo dell’acido citrico o degli acidi tricarbossilici, che nomi spaventosi penseranno in molti, in realtà sono estremamente esplicativi, il primo si riferisce al prodotto finale (ed iniziale… essendo un ciclo) di questa serie di reazioni: l’acido citrico (o meglio citrato trovandoci a pH circa 7), il secondo nome sta a significare che molti degli intermedi che si vengono a creare sono degli acidi organici con 3 gruppi -COOH, cioè degli acidi tricarbossilici. I più svegli, o comunque quelli che hanno letto tutto fino a qui senza pensare a quanto sia bello il sole fuori dalla finestra, si saranno sicuramente chiesti come siamo arrivati a parlare di citrato (molecola iniziale e finale del ciclo) quando un attimo fa eravamo alle prese con le 2 molecole di piruvato, ebbene l’acido piruvico (o piruvato) è rapidamente convertito in citrato attraverso una reazione notevolmente complessa che ovviamente non tratterò approfonditamente, vi basti sapere che il nostro piruvato va incontro ad un processo di decarbossilazione ossidativa, un nome brutto e cattivo per dire una cosa piuttosto semplice, il piruvato perde un carbonio dalla sua struttura liberandolo sottoforma di CO2 e poi viene ossidato cioè perde degli elettroni, ed è così che si forma l’acetil-CoA detto anche acetato attivo che reagendo con l’ossalacetato produce citrato e CoA, non vi interessi conoscere altro ai fini della trattazione, lasciamo fare il lavoro sporco ad un enzima detto enzima condensante. Alla fine di questo magnifico processo avremo liberato altre 2 ATP + 6 NADH + 2 FADH2. Siamo ora giunti alla parte finale, cioè alla catena respiratoria, meglio nota come fosforilazione ossidativa, è un processo molto molto complesso, ma anche oltremodo interessante a mio avviso, quindi sono stato molto combattuto sul fatto di trattarlo o meno, purtroppo spiegarlo in maniera esaustiva è impossibile tramite un articolo, ma dall’altro lato non posso nemmeno farvi arrivare fino a qui dandovi i risultati della produzione di atp e passare oltre, quindi cercherò di farvelo capire a livello concettuale; ricordate i nostri 2 coenzimi? NAD e FAD, questi durante il cilo di Krebs sono stati trasformati in NADH e FADH2, bene il tutto inizia con il sottrarre ai 2 coenzimi i loro equivalenti riducenti cioè gli H+ , trasformandoli quindi in NAD+ e FAD. Qui ora capiremo il concetto di energia, e non più di atp (che è una molecola in grado di immagazzinare elevati quantitativi di energia), non posso certo dire che questo processo serva a creare energia libera perchè scorretto per definizione ai sensi della prima legge della termodinamica, quindi sono costretto a dirvi che questo processo serve a trasformare l’energia contenuta in altre molecole in energia libera utile per la sintesi dell’atp. Ma come? Gli equivalenti riducenti strappati ai nostri coenzimi sono trasportati da dei citocromi attraverso 4 complessi enzimatici il cui fine è quello di pomparli all’esterno della matrice mitocondriale, nel così detto spazio inter membrana, questo spostamento degli equivalenti riducenti (ricordiamo, elettricamente carichi) crea così un gradiente protonico, chiamatelo gradiente protonico, gradiente elettronico, differenza di potenziale, chiamatelo come vi pare sta di fatto che stiamo parlando dell’energia che permetterà la fosforilazione dell’adp in atp, i nostri H+ una volta fuori dalla matrice tentano in ogni modo di rientrarvi in quanto abbiamo creato all’interno un ambiente alcalino ed all’esterno un ambiente acido, però l’unica via ad essi disponibile per rientrare è il quinto complesso enzimatico, cioè quello dell’atp sintasi che nel farli rientrare utilizza la loro energia per formare ATP a partire da ADP. Alla fine di tutti questi processi ci troviamo in tasca 36 atp al netto delle spese, confido che siamo riusciti a giungere fino a qui sani e salvi perchè ora si inizia a parlare di ciò che accade in assenza di carboidrati.

Ciclo_di_Krebs

Le diete povere di carboidrati sono estremamente diffuse quando l’obbiettivo è il perdere peso, ma un eccessivo taglio di questo macronutriente per periodi di tempo prolungati può condurre ad effetti metabolici non propriamente graditi a tutti coloro il cui fine è quello di perdere grasso ma di mantenere un certo tono muscolare, abbiamo infatti visto come il nostro corpo sfrutti queste molecole a fine energetico, preferendoli di gran lunga a grassi o proteine, molti commettono la leggerezza di pensare che levando al nostro corpo il principale substrato energetico che ha a disposizione esso ripiegherà sulle odiate riserve lipidiche per produrre ATP, la realtà è aimè un tantino più complessa, esiste infatti una via metabolica nota come “gluconeogenesi” attraverso cui il nostro corpo è in grado di sintetizzare glucosio a partire da precursori non glucidici, come ad esempio gli aminoacidi, esistono infatti una classe di aminoacidi detti glucogenetici che si prestano a tali trasformazioni metaboliche; essi sono:

  • alanina
  • arginina
  • asparagina
  • acido aspartico
  • fenilalanina
  • glutammina
  • glicina
  • istidina
  • prolina
  • idrossiprolina
  • isoleucina
  • metionina
  • serina
  • tirosina
  • treonina
  • triptofano
  • valina

Già questo dovrebbe bastare a farci capire quanto per il nostro organismo i carboidrati siano una vera e propria priorità, infatti oltre ad essere immagazzinati in fegato e muscolo possono essere ricavati tramite processi metabolici da sostanze aminoacidiche, ed essendo che, ciò che ci ha permesso di sopravvivere fino ad ora, sono proprio la forza e la radicata appartenenza al nostro essere di tali adattamenti metabolici è inutile dire che in caso di necessità tali processi avverranno, non curanti di quante ore abbiamo trascorso ad allenarci per guadagnare quel grammo in più di massa muscolare, se vi ricordate infatti nel precedente articolo abbiamo visto che non esistono fonti di riserva protidiche, ma in questo caso il muscolo rappresenta un’ottima risorsa cui attingere. E’ anche vero però che i processi gluconeogenetici possono partire anche da altre molecole quali il glicerolo (ricordate? l’alcol trivalente con cui sono esterificati i tre acidi grassi a formare i trigliceridi? proprio lui) oppure dal lattato. Nei casi limite della situazione si può giungere alla condizione di chetosi, ossia alla formazione di corpi chetonici quali acetone, acido acetoacetico, e beta idrossibutirrato; in tali circostanze il corpo trae energia da queste molecole sintetizzate dagli epatociti a partire dall’acetil-CoA, ciò conduce ad un incentivato ritmo gluconeogenetico, un aumento del catobolismo proteico (proteolisi), ed infine un aumento della lipolisi; senza contare che la quantità di ATP sarà significativamente ridotta a causa del fatto che i corpi chetonici non possono prendere parte al ciclo di Krebs, ciò conduce ad astenia, stanchezza ed a un significativo calo delle prestazioni sportive. Infine la scarsa produzione di insulina determina una diminuzione nella produzione di leptina; un ormone importantissimo qualora si desideri iniziare un regime di restrizione calorica, vedremo tra poco il perchè.

DEFICIT CALORICO

Che per dimagrire sia necessario diminuire le calorie al di sotto della soglia normocalorica è abbastanza chiaro a tutti, ma cosa succede quando la fretta di perdere grasso ha il sopravvento sul nostro buon senso conducendoci a seguire regimi alimentari tanto restrittivi da far rimanere allibito il nostro canarino? Tra poco lo scopriremo, ma prima è necessario precisare che tutto ciò che leggerete non sarà certo frutto della mia fantasia, ma di informazioni derivate da studi che ovviamente avrò premura di linkare, attenzione però che ogni studio va valutato all’interno del suo contesto è molto semplice farsi fuorviare, ma cercheremo di procedere con i piedi di piombo. Prima di tutto dobbiamo fare la conoscenza di 2 ormoni la leptina e la grelina, il primo prodotto dal tessuto adiposo, mentre il secondo dalle cellule P del fondo dello stomaco; già avete capito bene, la leptina è prodotta proprio dal tessuto adiposo, infatti la moderna morfologia sta rivalutando l’ormai stantia definizione di tessuto per iniziare a considerarlo come un vero e proprio organo, leptina e grelina dobbiamo immaginarle come 2 dita di una stessa mano che premono interruttori diametralmente opposti; per dirla in modo molto terra terra Leptina = sono sazio, Grelina = ho fame. Ma focalizziamoci per un minuto sulla Leptina l’ormone che in una fase di dimagrimento noi vorremmo tenere elevato, in quanto comporterebbe una diminuzione della fame, un aumento del dispendio energetico ed una variazione del partizionamento calorico in direzione del tessuto muscolare. Quest’ormone ha struttura peptidica, ce ne preoccupiamo perchè ha possibilità di influenzare il metabolismo di moltissimi tessuti, in quanto i suoi recettori sono estremamente diffusi;

cosa accade quando la leptina si lega ad un recettore cellulare?

il recettore specifico per la leptina è l’ OB-Rb (facente parte dei recettori OB-R), una volta che il nostro ormone vi si lega il recettore si divide in due (è brutto da dire lo so, il termine tecnico è dimerizzazione) ed attiva delle proteine dette JAK che fosforilano entrambi i monomeri del recettore creando in esso altri 2 siti di legame ove si legano altre 2 proteine dette STAT che vengono a loro volta fosforilate (dalle JAK) e nello staccarsi dal recettore le STAT si uniscono a formare altri dimeri che andranno ad agire su specifiche sequenze di DNA alterando l’espressione di alcuni geni, in particolare a noi interessano il Neuropeptide Y (NPY) e l’ormone di rilascio della corticotropina (CRH), la leptina con la sua azione finisce per inibire l’ NPY che è un potente stimolatore dell’appetito che agisce a livello ipotalamico ed ha inoltre proprietà non trascurabili nei confronti dei centri dell’umore. Può inoltre promuovere l’espressione del gene CRH con la conseguente produzione di corticotropina ed endorfine, in questo caso le funzioni di tali sostanze sono molto diversificate, tra cui la stimolazione delle surrenali, a conti fatti però si può dire che prevarrà l’azione svolta a livello del centro della sazietà nel nucleo ventro mediale dell’ipotalamo.

Tutto bellissimo direte, ma che c’entra con il tema “calorie”?

Beh se avete compreso le funzioni svolte dalla leptina avrete sicuramente intuito che quest’ormone viene prodotto sempre di meno tanto più il deficit calorico risulterà marcato, quindi ecco un ottimo motivo per non esagerare con il taglio delle kcal. Purtroppo non è finita qua, immagino tutti conosciate gli ormoni tiroidei, il più famoso dei quali è sicuramente la Triiodotironina (T3), questo ha effetti importantissimi sulla ripartizione dei macronutrienti ed anche sull’ RMR (ritmo metabolico a riposo) infatti promuove la trascrizione di diversi enzimi coinvolti nei meccanismi metabolici di ossidazione dei carboidrati, specialmente a livello della catena respiratoria (quella descritta nel paragrafo precedente), migliora inoltre la captazione del glucosio a livello cellulare, è indirettamente coinvolto anche nella produzione di piruvato in quanto promuove la produzione di un enzima che catalizza la trasformazione del malato in piruvato, e dovremmo aver ormai capito quanto fondamentale sia il piruvato a livello energetico; detto questo, è emerso uno studio condotto da un rinomato centro ospedaliero francese a Parigi (il Pitié-Salpêtrière Hospital), che si propose come obbiettivo quello di esaminare gli effetti di una dieta, con obbiettivo primario la perdita di peso, sull’RMR e sulle variazioni dei livelli sierici di T3, per la ricerca sono stati selezionati 64 ragazzi di 12 anni leggermente sovrappeso e sono stati sottoposti ad un regime di restrizione calorica per 6 settimane, alla fine di questo studio sono emersi dati interessanti, quali una sensibile diminuzione dei livelli di T3 e, di conseguenza, anche dell’RMR. Ciò non significa necessariamente che non dovreste iniziare una dieta ipocalorica per il timore di poter rallentare il vostro ritmo metabolico, però è senz’altro un campanello d’allarme per tutti i fanatici delle diete di restrizione molto drastiche, fortunatamente la tiroide è un organo con sottilissimi sistemi di regolazione molto difficile da destabilizzare in modo definitivo, ma perpetrare una dieta squilibrata a lungo nel tempo potrebbe avere impatti più o meno duraturi sul vostro metabolismo, finendo con il riservarvi spiacevoli sorprese nel momento in cui deciderete di rialzare le calorie.

Conclusione

Volendo affrontare il problema da un punto di vista meno scientifico e più filosofeggiante potremmo dire che il crash metabolico si raggiunge a causa di un malinteso, un malinteso che avviene tra le nostre intenzioni ed i meccanisimi di difesa del nostro corpo; in poche parole ci ritroviamo nell’incapacità di perdere grasso nel momento in cui tentiamo di imporre al nostro organismo un regime alimentare ed allenante che non è compatibile con la vita, e per questo motivo diventa essenziale per ogni cellula del nostro corpo raggiungere il minor livello di dispendio energetico in rapporto alla massima produzione di ATP, e questo ovviamente si traduce in un incentivo per il nostro corpo nello stoccare ogni caloria, non utilizzata a fine energetico, in riserva sottoforma di adipe. E’ infatti proprio a questo che servono i nostri adipociti, a sopravvivere in condizioni di carestia alimentare, simulate anche solo una volta una condizione di questo tipo e il vostro metabolismo ne risulterà condizionato anche per il futuro, proprio per questo il modo migliore per affrontare un periodo di dieta ipocalorica è scalare molto gradualmente le calorie, non inserirsi in contesti alimentari eccessivamente squilibrati a livello di macronutrienti, non stazionare all’interno di una dieta ipocalorica per tempi superiori a 4/6 settimane (eventualmente se la situazione lo richiede si può pensare ad inserire periodi di body recomp a cavallo delle fasi di definizione), ed infine cercare di variare gli approcci alla dieta; cercando di sorprendere il proprio metabolismo si può riuscire anche a risolvere situazioni di moderato crash metabolico, in questi casi la variazione dei macronutrienti potrebbe corrispondere a una vera e propria fune di salvataggio che permette al nostro metabolismo di non finire nel baratro del Metabolic Damage.

Riferimenti Bibliografici

D. N. Kiortsis, I. Durack, G. Turpin, Effects of a low-calorie diet on resting metabolic rate and serum tri-iodothyronine levels in obese children. European Journal of Pediatrics May 1999, Volume 158, Issue 6, pp 446-450. DOI: 10.1007/s004310051117

Nicola Marini

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