Allenamenti Heavy Duty e atleti

allenamenti heavy duty

Sull’ Heavy Duty di Mike Metzer (i “suoi” allenamenti e quelli proposti ai suoi allievi) abbiamo pubblicato due recenti post. Allo stesso modo per quanto riguarda gli allenamenti di Viator e Yates. Vorrei dare un po’ di senso a tutte queste informazioni che, in forma grezza possono sembrare contradditorie.

In cosa consiste la teoria di allenamento Heavy Duty?

Qual è (nelle parole di Massaroni) l’invariante, cioè cosa accomuna tutte queste tabelle di allenamento e che le rende produttive o meno.

Fondamentalmente si tratta della ricerca di un allenamento che procuri il maggiore carico esterno possibile in compatibilità con il maggiore carico interno sostenibile da un soggetto dato.

In altre parole: come procurare il maggior danno muscolare locale possibile (carico esterno del bodybuilding) in relazione al minore sforzo metabolico (carico interno) in grado di procurare un adattamento ipertrofico; perlomeno per quanto riguarda i soggetti natural. Se invece inseriamo nell’equazione il fattore chimica, si dovrebbe meglio parlare di maggior sforzo metabolico (carico interno) effettivamente recuperabile in funzione di tutte le soggettività del caso.

Tra questi fattori soggettivi ricordiamo:

  • lo sviluppo muscolare già raggiunto a cui il recupero è inversamente proporzionale: muscoli più grandi implicano maggiore stress metabolico per raggiungere un certo danno muscolare dato
  • la capacità naturale di recupero del soggetto: questo è un fattore molto più complesso della semplice quantità di testosterone libero circolante, andando a coinvolgere non solo le quantità (peraltro variabili nella giornata) tutti gli ormoni anabolici in rapporto a quelli catabolici ma anche la recettività mio-cellulare di questi, nonché l’efficienza di trasmissione del messaggio anabolico (o catabolico) che va dal recettore sulla membrana cellulare fino al nucleo cellulare; e non dimentichiamo l’azione di certi enzimi come la miostatina
  • la supplementazione chimica e come questa interagisce con le caratteristiche naturali del soggetto.

Tutto questo produce una forte varietà di allenamenti Heavy Duty.

Come li scegliamo e li adattiamo in base alle nostre esigenze?

A mio parere è probabile che gli allenamenti Heavy Duty proposti in “Heavy Duty II” in forma prolungata (4-5 esercizi in mono-serie per seduta, utilizzo delle sovrapposizioni, recupero di 4-5 giorni tra una seduta e l’altra) rappresentino il culmine della riduzione utile per un natural; osserverei che forse l’alternanza gambe parte superire non è sempre necessaria e spesso si dovrà preferire un allenamento tipo gambe, riposo, enfasi pettorali/dorsali, riposo, enfasi spalle braccia.

Gli allenamenti ultra ridotti tipo 2-3 esercizi ogni 7-10 giorni sono si produttivi di risultati sui gruppi muscolari direttamente coinvolti dagli esercizi presi in considerazione, ma insufficienti a preservare la massa muscolare generale: una buona quantità di muscoli finisce de-allenata. Direi che questa era più che altro una trovata di Mike per dare, ai suoi clienti natural in fase terminale, l’illusione della crescita.

Tutta un’altra storia se si parla di supplementazione chimica: come accennavamo, qui il problema non è più il minimo carico interno (generale metabolico produttivo), ma il massimo carico esterno (danno locale) globalmente sostenibile nelle condizioni d’integrazione data. In questo senso l’Heavy Duty rimane la soluzione più economica (meno ore di allenamento, meno chimica e quindi meno soldi spesi e meno salute in pericolo) ma è tutt’altro che l’unica.

E’ un fatto inoppugnabile che fossero produttivi gli allenamenti di Nubret con anche 100 serie per gruppo a bassa intensità (35% del cedimento) con recuperi minimi (lavoro tutto sulle fibre IIa e anche sulle I); ovviamente non sorprende che Nubret e la sua scuola fossero famosi per i dosaggi particolarmente alti, ma il dosaggio poteva intervenire fino a rendere produttivo anche un allenamento ad altissimo volume (molto più delle 20-25 serie a semiesaurimento tipiche dei tempi di Arnold) e con intensità prossima al 100% del cedimento.

Steve Michalik

john defendis

 

 

 

 

 

 

 

 

Esempi di questo furono Steve Michalyk e il suo pupillo John Defendis:

40-80 serie per gruppo muscolare fino al cedimento, con recuperi brevi nel caso di Steve (incidente d’auto che aveva lesionatola bassa schiena) e recuperi tra le serie più prolungati con più peso assoluto nel caso di John.

Anche qui non credo sia casuale che Steve Michalik sia considerato il più “alto” utilizzatore di AAS di tutti i tempi: non so se questo sia del tutto esatto, ma molto probabilmente Steve è stato il Bodybuilder che, senza morirne, ha riportato gli effetti collaterali più numerosi di tutti i tempi specie a carico di fegato e reni. A onor del vero, Steve (deceduto nel giugno del 2012) non è morto per questi effetti collaterali, come a volte si insinua… si suicidò sparandosi al cuore.

Nella scia di questa tradizione di allenamento (e con notorietà chimica analoga) troviamo altri campioni del passato particolarmente famosi per i loro livelli di assunzione, come Pete Grimowsky, Nimrood King e altri.
Giusto per curiosità riporto la tabella per pettorali di John Defendis:

  • Panca piana bilancere 10×8-10
  • Panca inclinata distensioni manubri 10×8-10
  • Panca inclinata croci manubri 10×8-10
  • Pancapiana con bilancere guidato al collo 9x 10-12
  • Croci piane manubri 9×10-12
  • Parallele 8×12-15
  • Croci ai cavi 8×12-15
  • Pullover con manubrio 8×12-15

Attualmente i pro, pur di rado adottando l’Heavy Duty o HIT, sembrano essere orientati verso soluzioni molto più sobrie per quanto riguarda il carico di lavoro: tipicamente 12-20 serie per gruppo di cui solo un terzo meno a cedimento.
Tra i casi in cui, pur mantenendo un carico di lavoro piuttosto alto per volume, l’intelligenza e la sobrietà hanno prevalso sull’uso estensivo delle energie dell’atleta ad ogni livello; vorrei ricordare il concetto di serie interrotte di Massaroni: con questo allenamento si cerca di ottimizzare il rapporto carico esterno/interno in modo opposto ma simmetrico rispetto all’ Heavy Duty; l’intensità viene limitata all’inizio di ogni esercizio (80%) del cedimento, con ripetizioni intorno alle 5 (soglia lattacida) la percentuale del cedimento sale progressivamente fino al 100% nel giro di circa 4-5 micro serie intervallate da 20” circa di recupero.

In questo modo si ovvia al principale limite all’efficacia delle serie multiple: il progressivo declino del danno muscolare aggiuntivo di serie in serie; questo avviene a causa dell’effetto limitante dell’acido lattico sul lavoro muscolare. Detto rozzamente, un muscolo già congestionato di ben poco il pump di serie in serie; infatti l’acido lattico (e relativa congestione muscolare) è contemporaneamente:

  • una spia di danno muscolare avendo con questo n comune un fattore scatenante e cioè la deplezione di ATP
  • un forte coadiutore del danno muscolare (accoppiato alla tensione meccanica sulla singola fibra), essendo la struttura della fibra muscolare più fragile in condizioni diaccidia
  • un limitatore della continuazione del lavoro a causa del suo effetto sugli ioni idrogeno e calcio.

Se prendessimo la deplezione di ATP come approssimata misura del danno muscolare e considerassimo questa deplezione nel progredire della serie al 100% del cedimento in 10 ripetizioni, intervallate da 1’30” di recupero avremmo all’incirca questo andamento logaritmico nei risultati di deplezione:

  1. serie 60%
  2. serie 80%
  3. serie 90%
  4. serie 95%

e così via. (da Massaroni su Cultura Fisica, fine anni 70’)

Da notare che questo andamento logaritmico è determinato da una deplezione dell’acido lattico (minuti-ore) relativamente lenta rispetto alla ricostituzione locale dell’ATP (10”-15”per ricostituirne la meta circa);

vale la pena fare anche solo una seconda serie?

La domanda rimane aperta in funzione essenzialmente dell’assunzione chimica e del tempo disponibile per l’allenamento.

Diversamente si presenta il quadro adottando le serie interrotte. Si verifica un pre-affaticamento soprattutto delle fibre IIB: il danno muscolare (abbassamento ATP muscolare) per ogni micro-serie non è massivo, ma può essere protratto efficacemente per svariate serie.

L’ Heavy Duty cerca di risolvere lo stesso problema con una tattica opposta:

creare il maggior danno muscolare possibile abbassando il più possibile l’ATP in una sola botta che però congestiona al massimo il muscolo lasciando poco spazio ad ulteriori tentativi;

da cui la monoserie e anche la parsimonia nell’usare multipli esercizi. Da questo punto di vista il rest pause e l’hyper-negative rest-pause di Mentzer si presenta come soluzione spuria tra il classico Heavy Duty e le serie interrotte.

tom platzUna soluzione particolare al problema venne per la prima volta data da Tom Platz in preparazione per il Mr. Olympya del 1981 di Essen (molto discutibilmente vinto da Franco Columbo) e in cui fu sicuramente nella miglior forma della sua carriera; Platz era noto per essere un uomo da soluzioni estreme e per la parte superiore del corpo escogitò questa tattica:

  • 1-3 esercizi da 5 sets l’uno (in realtà 3 esercizi solo per la schiena: trazioni, rematore e stacchi o pullover)
  • 3 serie buffer con avvicinamento al peso della quarta serie in cui arrivava al cedimento in 5-8 ripetizioni (ricorda Yates)
  • la quinta era la sua “extended set” come la chiamava lui, stesso peso e tutte le tecniche di intensità che riusciva ad escogitare senza staccarsi dal peso; spesso la sequenza delle tecniche era questa:
    • rest-pause “in tensione”
    • forzate
    • cheating
    • parziali
    • negative only
    • parziali minime che diventavano in pratica delle trattenute finchè il peso gli cadeva letteralmente dalle mani.

La versione per le gambe era di solito la seguente:

  • 2 serie a buffer fino a 15 ripetizioni
  • poi senza mai raddrizzare le ginocchia (ovviamente culo a terra e se possibile anche sotto) cedimento fino a circa 15 ripetizioni
  • poi ovviamente senza mollare il peso e di seguito in un unico set, cedimento raddrizzando le gambe prima forse ogni 3 ripetizioni poi ogni due, poi ogni ripetizione
  • poi ancora cedimento con rest-pause in tensione (cioè respirando 2-3 volte con il bilancere sulle spalle) ancora con la sequenza 3-2-singole

…fino ad arrivare a 50 ripetizioni, di solito in un‘ unica serie, ma ho sentito dire che a volte Platz ne faceva due di queste cose. Di solito lo squat era l’unico esercizio, ma a volte aggiungeva un serie di polpacci con una sequenza simile oppure di leg curl usando il sistema usato per la parte superiore. Da notare che Tom Platz, in quel periodo si allenva con una split di 4 giorni con 1-2 o più di riposo.

Comunque dagli anni 70’ a oggi, relativamente numerosi (anche se minoritari) sono stai i campioni che, sulle orme di Mike Mentzer, hanno cercato una soluzione breve ed intensa per raggiungere il danno muscolare (il nocciolo dell’Heavy Duty). Oltre a Viator e Ray Mentzer, negli anni 70’ primi 80’ possiamo ricordare:

  • Clarence Bass, recordman di bassa body fat (il primo a scendere sotto il 2%), Mr. USA e Mr. America negli over 40
  • Tim Belkamp, il terribile nano diabetico vincitore del Mr. America 1981
  • Andreas Chaling il vegetariano, Mr. International 1980
  • Boyer Coe, terzo all’Olympia
  • Charles Smith MD, Mr. Tennessee e 5° al Mr. America (famoso per tirarsi con hamburger, patatine e coca cola)
  • Scott Wilson, pro Mr. America e nel 1981 Mr. International
  • Deborah Diana, Ms. USA e terza al Ms. America
  • Jery Mc Call, Mr. Sothern America.

Il ritiro di Mike Mentzer dalle gare molto probabilmente contribuì a veder diminuire nei decenni seguenti i seguaci di questo metodo fra gli agonisti, anche se come abbiamo visto ci sono delle illustri eccezioni come David Paul, Aaron Baker e Dorian Yates.

Ancora nel 2004 il Mr. Usa Mark Dougale si allenava in modo del tutto simile a Dorian Yates. Ancora nel 2009 Cedric McMillian ha staccato la pro-card vincendo l’ assoluto agli Npc nationals con un’altra scheda d’allenamento molto simile a quella di Yates.

Sicuramete fattori d’emulazione e psicologicemete irrazionali governano in parte le scelte tecniche di quasi tutti i bodybuilders moderni: il fatto che la maggior parte dei campioni pro, si alleni con allenamenti piuttosto “voluminosi”, stabilisce lo standard per milioni di aficionados e aspiranti agonisti. Si tenga poi conto che il concetto di allenamento ad alto volume varia con le epoche e ha avuto il suo apice probabilmente verso la fine degli anni 70’, quando era normale fare 20-25 serie per gruppo due volte la settimana in off-season per ogni parte del corpo e 3 volte la settimana in pre-contest. Oggi lo standard è circa la meta di quelle serie, con cedimento meno frequente ed usualmente una sola volta la settimana.

Inoltre si consideri che fattori come l’estrema disponibilità di tempo dei pro e la facilità d’accesso agli anabolizzanti siano elementi che di certo non favoriscono la popolarità ai vertici del nostro sport degli allenamenti abbreviati.

Questi allenamenti però rimangono di un’ utilità estrema non solo per i natural ma anche per gli agonisti che non vogliono spendere e spendersi troppo, nonchè per quella folta schiera di utilizzatori a moderato dosaggio (diciamo dal mezzo gr al grammo e mezzo a settimana?).

Come esempio vi espongo due fra le tante tabelle per un bodybuilding chimico ma economico che alcuni dei miei allievi adottano; possono essere usate sia in bridging da agonisti, sia in fase di progressione moderatamente assistita chimicamente da bodybuilders amatoriali.

Primo esempio, atleta over 50, forte di gambe ed in periodo di bridging (400mg di boldenone, 150mg di diidroboldenone settimanali + 1 UI giornaliera di Gh). Due sedute settimanali cercando di trarre vantaggio dall’overlapping:

  • Leg press o polpacci alla pressa + distensioni panca inclinata + pullover con manubrio + trazioni + rematore + tirate al petto
  • Crunch alla macchina o al cavo o stacchi semitesi + alzate laterali + lento sopra la testa + posteriori + french press + pullover & press + flessioni bicipiti con manubri

Ogni esercizio con un unica serie ma di solito 2-3 pesi: cioè serie buffer 15 reps, zero pausa e peso incrementato per 10 reps a buffer… sempre zero pausa ed ulteriore incremento e semplice cedimento con 6-10 rip. È il metodo che ho usato per gli atleti che mostrano di avere una prevalenza di fibre IIa su quelle IIb, caso che tradizionalmente è considerato proibitivo per l’Heavy Duty.
Invece se abbiamo una prevalenza di IIb possiamo usare un approccio più classico al riscaldamento (5-3 rip senza quasi pausa ma lontani dal cedimento e poi la monoserie risolutiva).

Se l’atleta ha qualche gruppo veramente facile (nel caso polpacci, femorali, deltoidi posteriori, tricipiti) si può usare una total body come segue:

leg press o squat + trazioni a presa supinata + panca inclinata distensioni + alzate laterali + qualche volta un esercizio diretto per i bicipiti.

L’atleta in questione è un ex agonista che con questa tabella e un’ assunzione chimica minima (mai sopra i 250 mg di testosterone a settimana e 2 UI giornaliere di Gh) riesce a mantenere una forma che può rimetterlo in condizione di gareggiare in pochi mesi. Le sedute settimanli sono 1 o 2 a seconda delle disponibilità di tempo.

Comunque, tanto per intenderci, ritengo che si possano ottenere i massimi risultati dal punto di visto agonistico solo con preparazioni più simili a quella di Yates e con assunzioni ben più impegnative, anche se più umane rispetto a quelle che richiedono altre metodiche.
Il prossimo post sull’HD sarà dedicato ai suoi aspetti biomeccanici.

Pietro Sassi

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